WitchandAngel : Capitolo 1: The first blood

Capitolo 1: The first blood

My dear Big Brother

Capitolo 1: The first blood

Quando avevo appena cinque anni fui adottata nella famiglia BlackSoul. La famiglia era piccola tutto sommato e ancora oggi mi chiedo perché tutto ciò sia successo.

La famiglia era composta da Jeff, il padre, Mary, la madre, Annabelle, la figlia maggiore, Jason, il figlio maggiore e Samantha, chiamata Sally, che era la figlia minore. Quando entrai nella famiglia ero la più piccola, Annabelle aveva già trent’anni, Jason stava per compierne venti e Sally ne aveva già diciotto. Non fu una brutta esperienza la mia e vissi fino ai miei dieci anni una vita…normale.

I signori BlackSoul erano…particolari. Jeff era un medico che si occupava di autopsie, una volta ci portò all’obitorio e ci mostrò come lavorava, la cosa ora che ci penso era abbastanza orribile da fare a un bambino della mia età ma…diciamo che mi aiutò in futuro. Mary era una normale casalinga…con una passione per armi e aveva creato un’armeria nella nostra casa, le domeniche erano i giorni in cui eravamo forzati ad addestrarci con le armi di fuoco sotto la sua guida di ferro. Annabelle era…assente per la maggior parte del tempo, era sempre con un ragazzo più grande di cui non ricordo il nome e tuttora penso sia inutile ricordare, infondo è morto abbastanza presto. Sally era sempre al telefono con le sue amiche, a qualche party o a passare la sua vita da popolare cheerleader seduta di fronte a quello schermo, potevi vederne tutta la vita, registrava tutto.

Jason era l’unico che passasse tempo con me. Jason-Michael-Frederick era un ragazzo problematico fin dalla nascita da ciò che so. Faceva spesso risse, aveva spedito spesso ragazzi in ospedale e mancava delle basi per capire che l’altro stesse soffrendo. Era “cattivo” secondo ciò che dicevano Jeff e Mary ma per me non lo era. Giocava con me, mi teneva compagnia e mi raccontava storie senza mai pretendere nulla da me. Eravamo molto legati al tempo.

Non ero una di molte parole, parlavo solo se forzata e anche allora erano più che altro “sì” e “no”, Jason però sapeva come prendermi e farmi parlare. Credo di essermi presa una cotta per lui anche a un certo punto…finché non successe quel che successe…

Quando avevo dieci anni ero membro di un piccolo gruppo di prodigi con interesse nelle scienze mediche e bio-chimiche. Quel giorno stavo tornando da un concorso che avevo vinto, i signori BlackSoul erano già a casa, dovevano preparare quella che poi scoprii essere una festa a sorpresa per me, Annabelle e Sally erano anche a casa stranamente. Non avevo un cattivo rapporto con loro, anzi, ma eravamo diverse e non capivo sempre ciò che loro consideravano nella norma.

Non so che successe. Non so chi iniziò la conversazione, chi la fece scoppiare in lite e chi ha finito con il creare quella situazione…so solo che quando aprii la porta della casa di famiglia trovai dei cadaveri ad accogliermi. Ricordo di essere entrata con un sorriso e di averlo perso quando ho notato una pozza di sangue. Avevo ancora la targa in mano, era in una cornice di vetro, lo ricordo perché quando vidi il corpo di Jeff completamente fatto a pezzi mi tagliai con il vetro della targa, la feci cadere per tapparmi la bocca e evitare di urlare. Jeff aveva un braccio mancante, la testa spaccata, lunghi tagli sulle braccia, una gamba era completamente mozzata mentre l’altra era appesa per un lembo di pelle. La sua gola era stretta dalla sua cravatta, usata come mezzo per strangolarlo, gli occhi bianchi e l’espressione di dolore puro furono una cosa che non potrei mai scordare di aver visto. Il mio istinto si attivò subito, sapevo che il rumore di vetro rotto avrebbe attirato qualsiasi cosa fosse in casa e avevo paura, dovevo nascondermi e chiamare aiuto. Non potevo uscire dalla porta principale perché sentii qualcosa chiuderla a chiave e io ero in cucina, la stanza immediatamente dopo l’ingresso.

Mi nascosi dietro il bancone quando sentii dei passi di pesanti stivali che controllarono la cucina, gattonai in silenzio fuori dalla porta che conduceva in soggiorno, tagliandomi le mani sul vetro e anche le ginocchia. Nel soggiorno trovai la seconda vittima, Sally. Il corpo era stato strangolato, dal caos che vi era lì potevo capire che era stata inseguita e aveva provato a scappare. La disperazione nel suo volto era evidente come le lacrime versate. Era stata pugnalata anche per molte volte ma non era stata toccata oltre ciò. Quando sentii i passi muoversi verso il soggiorno mi mossi a spostarmi verso il corridoio principale e a salire le scale. Annabelle aveva un telefono in camera e pensavo di poterlo usare per chiamare il 911.

Quando entrai nella camera però capii che lei aveva fatto la chiamata e che era stata uccisa nel mentre. Annabelle era stata fatta a pezzi, era quasi irriconoscibile. Il telefono ancora era attivo e la chiamata in corso, cosa che mi fece capire che era da poco che lei fosse morta.

-Aiuto- dissi piano alla cornetta

-Sei Annabelle? La pattuglia sta arrivando e…- iniziò l’operatrice in chiaro panico

-L’ha uccisa…io…- sentii dei passi e mollai il telefono e mi nascosi sul balcone.

Sentii il rumore lento di passi e potei percepire che qualcuno stava osservando la camera per cercare chi era entrato in casa.

Salii sul cornicione e iniziai a muovermi in fretta per raggiungere la camera di Jason, sperando che lui fosse vivo.

Quando passai accanto alla camera di Mary e Jeff notai il vetro rotto e poi notai il sangue che colava verso il terreno. Guardai giù e vidi il corpo martoriato di Mary, ogni osso era visibile quasi e per poco non persi l’equilibrio.

Entrai nella camera di Jason e mi nascosi sotto il suo letto pregando che nessuno mi trovasse lì sotto. La nostra casa aveva solo un paio di scale e un’uscita, nel secondo in cui ero salita al piano superiore per sfuggire dal salotto mi ero messa in trappola. Non avevo modo di scendere se non di andare per il corridoio principale di nuovo, prendere le scale e correre fuori da una delle finestre che io non riuscivo mai ad aprire senza far rumore.

Rimasi lì per ciò che mi sembravano ore, mi tolsi i pezzi di vetro usando il kit di primo soccorso che Jason teneva sotto il letto, faceva spesso a botte ed era ormai routine per me curarlo con quel kit senza che i suoi lo sapessero. Il cuore nelle mie orecchie batteva a mille e io ero spaventata. Quando sentii i passi degli scarponi mi tappai la bocca, potevo sentire il mio stesso sangue a causa delle ferite ancora aperte per il vetro.

-Liz sono io- disse la sua voce, la voce di Jason- so che sei a casa principessa…va tutto bene ora…

Potevo guardarlo da sotto il letto, nascosta dietro al pannello di legno che mi permetteva di non essere vista e di poterlo osservare. Jason era lì nei suoi due metri, indossava una delle sue tute da meccanico, ma non era olio quello che lo ricopriva, era sangue. In mano aveva ancora un’ascia insanguinata ma potevo vedere che aveva nella tasca un coltello e qualcos’altro che poi scoprii essere un martello, lo stesso con cui aveva colpito Jeff e Mary.

-Liz stai tranquilla, sono andati via- disse ancora, mi forzai a non urlare, a non parlare, a non respirare…non potevo farmi sentire, non dovevo farmi sentire- non ci divideranno più promesso e…

La sua mano si posò sul pannello di legno, il mio cuore batteva così forte che pensavo lo sentisse anche lui. Non ebbe il tempo di trovarmi, la polizia arrivò in quel momento, sfondò la porta e cercò in fretta la casa. Lo trovarono subito. Lo vidi combattere e ferire uno dei tre poliziotti presenti ma non bastò a scappare. Mentre due agenti lo facevano scendere il terzo, quello ferito, si posò al muro. Io spinsi via il pannello e uscii piano da sotto il letto. Il suo sguardo era stupito e subito entrò nel panico per me. Non ricordo cosa dissero, non ricordo cosa successe…ricordo solo che quando l’agente disse “C’è una bambina qui”, Jason si girò per guardarmi e mi sorrise “giocheremo insieme appena esco Liz, tranquilla”.

Il resto non riesco a ricordarlo con chiarezza…penso di essere svenuta poco dopo e mi sono svegliata poi in ospedale come unica superstite di quella casa, senza una famiglia e con l’unica persona di cui mi fidavo in carcere per omicidio.

 

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