WitchandAngel : febbraio 2020

Capitolo 4: May I Axe you a question?




Capitolo 4: May I Axe you a question?

Vi erano vari metodi con cui si poteva aprire un lucchetto di cui la chiave era sparita, la scelta stava tutta se si voleva tenere il lucchetto oppure si poteva rompere e basta.
La donna si svegliò abbastanza normalmente e poco dopo aver fatto colazione andò nel giardino posteriore per decidere come aprire il lucchetto. Era una giornata abbastanza bella, il sole non era troppo pesante e l’aria intorno all’abitazione era stranamente tranquilla. Era un’ottima giornata per stare all’aperto e prendere un po’ di sole, cosa che finora la donna non aveva potuto fare a causa del mal tempo. Di istinto guardò il tetto, chissà in che condizioni era il terzo piano, ovvero la soffitta visto che nessuno tendeva ad esso da anni e che probabilmente avrebbe avuto qualche buco o perdita. Purtroppo il tetto pareva tutto eccetto sicuro per salirci sopra.
Stava osservando il tetto per un paio di minuti prima di decidere a guardare la botola che portava alla cantina dall’esterno. Il lucchetto era vecchio e arrugginito, però sembrava particolarmente duro e resistente. Il legno della porta non era nemmeno graffiato e pareva difficile da rompere.
Intenta com’era non si accorse dall’ascia che si era sollevata da terra dietro di lei. La lama risplendeva sotto la luce del sole e il bagliore sembrò prendere l’attenzione della donna che non si mosse o girò. Quando l’ascia venne lanciata contro di lei si lanciò di lato e fissò la lama che si era incastrata nel punto dove la testa di lei era. Nonostante ciò la reazione di lei fu minima e osservò solamente i dintorni e infilò una mano nel retro dei suoi jeans tirando fuori una pistola e togliendo la sicura.
Dopo un paio di minuti rimise la pistola dov’era, la sicura era stata rimessa e la donna pareva ancora abbastanza apatica. Guardò l’ascia e afferrò il manico, mise un piede sulla botola e tolse l’arma con poco sforzo. La lama era poco affilata e rovinata dal tempo, pareva anche parecchio vecchia e tracce di una sostanza erano ancora visibili. Era impossibile dire se ci fosse sangue o meno per la ruggine che vi era sopra e per il tempo che era passato. L’ascia venne fatta girare un paio di volte e poi di colpo la lanciò contro il punto in cui si trovava lo spettro che l’aveva lanciata. L’ascia si conficcò nell’albero lì vicino e non si mosse. La forza che aveva usato era chiaramente non poca ma non pareva impossibile ucciderci qualcuno anche in quelle condizioni. Rimase a fissare l’arma per due secondi in più prima di girare sui tacchi e tornare nella casa, recuperare la sua ascia dalla borsa di attrezzi e dirigersi in cucina. Guardò il lucchetto e senza nemmeno esitare alzò l’ascia rompendo il lucchetto con un taglio netto. La sua ascia era più affilata di un coltello dopotutto.
Calciò il lucchetto con lo stivale e aprì la botola usando l’ascia. Subito l’odore di chiuso e l’oscurità fecero capolino da sotto.
Si inginocchiò vicino alla botola ma non poteva vedere assolutamente nulla nell’oscurità della camera. Era improbabile che ci fosse un sistema elettrico là sotto quindi era improbabile che ci fosse una fonte di luce oltre candele e lampade a olio. Tirò fuori dalla tasca una torcia elettrica e con ancora l’ascia in mano scese nell’oscuro piano sotterraneo.
Una fredda, oscura e umida sala l’accolse quando scese l’ultimo gradino. I muri in pieta davano un’impressione di chiusura, quasi fosse una sala per seppellire i morti e non tenere il vino. La legna degli scaffali era fragile come un grissino e il minimo movimento avrebbe rotto lo scaffale e fatto volare le bottiglie di vino sul pavimento. Le scale erano in pietra incavata nel terreno stesso in una maniera che di naturale aveva ben poco e dura a scendere e salire con facilità o velocità, quasi non fossero lì di origine. Si poteva dire che quella fosse una tomba pronta per seppellire qualcuno, serviva solo un corpo. L’odore stantio dell’aria rendeva difficile respirare e la temperatura pareva innaturale e scomoda. Era difficile respirare ed era difficile vedere nell’ombra. I muri erano ricoperti di qualcosa simile a muschio e presentavano segni di rovina. Il pavimento era in pietra ricoperto da un parquet di legno, purtroppo le assi erano rotte e rendeva facile inciampare. Come pensava la stanza aveva solamente lampade a olio e candele per illuminarla. Avrebbe dovuto montare delle luci se voleva usare questo posto. Con un’ascia nella mano sinistra e una luce elettrica, la donna si inoltrò nella stanza senza nemmeno un secondo di esitazione. Il rumore dei suoi tacchi era interrotto dal gocciolio di qualcosa che colava e dallo scricchiolio delle assi sotto i suoi piedi. La stanza era soffocantemente piccola ma non era veramente piccola, la donna trovò varie stanze incavate nella pietra, la maggior parte era per la conserva di vino e un’altra parte era per la conserva di cibo. L’odore di marcio era irritante al naso ma la donna si limitò a fare una smorfia. La carne putrefatta di qualche animale era appesa a ganci ed era ormai difficile identificare cosa contenevano i barattoli sugli scaffali nel liquido nero che immergeva tutte le sostanze ormai. Quando provò ad avanzare il rumore di vetro rotto dalle sue scarpe venne sentito, quando puntò la luce a terra notò un barattolo rotto, il liquido era ancora presente quindi non poteva essere caduto che da troppo tempo ma nemmeno da poco, forse poco prima che lei si era trasferita…forse no. Ciò che la luce illuminò fu un oggetto tondo e poco più grosso di un tappo di qualche bottiglia. Era tondo e quando lo toccò con la punta della sua lama scoprì che era morbido e soffice, facendo uno strano “squish” quando venne premuto. Lo fece rotolare e l’oggetto grigiastro rivelò di avere un cerchio più piccolo su uno dei lati con un cerchio all’interno…sembrava stranamente simile a qualcosa che potevi vedere ogni giorno in qualsiasi essere vivente.
La donna non ci fece caso e continuò ad esplorare con cautela. Purtroppo il barattolo rotto era solo l’inizio.
***
Un fracasso si poteva sentire nelle vie della città mentre la polizia inseguiva un sospetto.
Il sospetto indossava una giacca corta in pelle rossa, un vestito nero, stivali alti fino al ginocchio con tacco a spillo neri, guanti neri in pelle, un capello rosso e portava dei capelli corti neri, gli occhi erano verdi. Correva quasi tanto era veloce mentre la polizia la inseguiva. Tirò fuori qualcosa dalla tasca e la lasciò cadere a terra, creando una piccola esplosione che fece sparire tutto alla vista di tutti per pochi minuti. Ma il sospetto non si mosse dalla nuvola di fumo ma fu veloce ad agire. Sbatté i piedi insieme, si levò la giacca per girarla in fretta e sganciarne i lati ora esterni, girò il capello, si tolse la spilla dai capelli e girò i guanti in pelle nera al contrario. Quando le scarpe si toccarono i magneti che tenevano lo stivale alto fino al ginocchio agirono staccandosi e ripiegando così lo stivale nero rendendolo uno stivaletto bianco, la giacca rossa in pelle venne rigirata mostrando ora l’esterno nero, che era un giacca più lunga e stile detective, che aveva i lati agganciati dentro così da poterla nascondere perfettamente, quando questi vennero sganciati la giacca divenne lunga fino al ginocchio e lei fu veloce a chiuderla e stringerla con una cintura. Quando si levò il capello si vide l’acconciatura che aveva fatto e come i corti capelli neri erano in realtà lunghi e solo acconciati in modo da acconciarli, quando tolse la spilla che li teneva i capelli vennero rilasciati, la parte nera era quella all’interno e l’esterno erano lunghi capelli biondi, girò il capello rosso facendolo diventare nero e tirò fuori dalla tasca degli occhiali da sole che si sbrigò a mettersi. Per ultima cosa, rigirò i guanti neri, facendoli diventare bianchi e si lasciò cadere sul lato del marciapiede come molti altri passanti. La polizia non si mosse per un paio di minuti e quando il fumo sparì si guardò intorno chiamando rinforzi con il loro comunicatore e dividendosi per trovare il sospetto. Nel mentre i passanti che erano caduti per lo spavento non diedero retta alle forze dell’ordine e iniziarono a correre via per evitare “l’attentato” che sembrava per accadere. Il risultato fu che la loro sospetta fu molto veloce a sparire dalla scena indisturbata.
****
Quando la donna riemerse dalla cantina sembrava impassibile come solito. Gli spettri non potevano scendere, o meglio non volevano, quindi non erano certi di cosa avesse trovato all’interno di quell’orrido piano. Una cosa era certa, la donna aveva avuto un’idea e invece di concentrarsi sul secondo piano solamente, iniziò a modificare anche la cantina, purtroppo gli spettri non osavano vedere cosa lei combinasse là sotto.
Una delle prime cose che fece fu portare all’inceneritore esterno scatole e scatole di roba. Delle volte erano barattoli di vetro dal liquido oscuro, altre scatole di legno il cui odore era disgustoso. Le dimensioni dell’inceneritore erano abbastanza per incenerire un paio di cadaveri quindi non fu difficile riempirlo con parecchie cose e accenderlo. Il fumo nero emesso era disgustoso e sicuramente nocivo, però la donna era tranquilla a guardarlo mentre indossava una maschera antigas e una tuta da lavoro macchiata da anni da olio e altre sostanze di quando faceva lavoro intorno alla casa e probabilmente anche prima di venire a quella dimora aveva fatto lavori manuali simili. Dalla cantina tirò fuori più di ottocento bottiglie intatte di vino. Portò fuori anche sacchi e sacchi pieni di bottiglie rotte e rimosse gli scaffali di legno per rifarli.
Quando James si presentò con il materiale lei non si mostrò per nulla anomala e lo aiutò a scendere le cose così da poterlo rimuovere dalla sua proprietà il prima possibile.
James le sorrise e visto che la porta sembrava non voler stare aperta le aprì la porta per entrare- dopo di lei
-Oh che dolce…ma posso aprirmi la porta da sola- disse la donna entrando velocemente e incastrando una trave in modo da tenere la porta aperta.
Il fatto che James continuasse a sorridere imperterrito non sembrò per nulla positivo.


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Capitolo 24: Hello my old Friend




Capitolo 24: Hello my old Friend

Ho imparato nel peggiore dei modi che tutti dicono ciò che vuoi sentire.
-Léonie ti prego lasciami spiegare! –dice per la centesima volta Erik che mi ha beccato da sola
-Cosa vuoi spiegare? –chiedo io- che sei il responsabile della mia rovina? Che sei chi ha ucciso tutto ciò a cui tenevo? Cosa vuoi spiegare Erik?
-Ho sbagliato…ho davvero sbagliato con te ma questa volta farò ciò che devo. Ti renderò la mia regina e…-inizia lui cercando di prendermi la mano ma io la scaccio
-Sono sempre stata la regina, sei stato tu a mettere il “cattiva” al mio nome! Tu e le tue otto puttane!
-Mi hanno imbrogliato, non pensavo…
-A fare ciò che avete fatto si gioca in due Erik. Nessuna di loro ti ha stuprato, forzato o manipolato. Sei tu chi ha creato la situazione e tu chi la dovrà risolvere. Io non ho intenzione di avere a che fare con te.
-Léonie…
-Farò quattordici anni tra pochi mesi Erik. Quando ne avevo quindici divenni tua moglie e tu mi hai uccisa prima che io potessi farne venti…dimmi perché dovrei darti retta…perché l’unica cosa che voglio è che tu sparisca dalla mia vita.
-Non puoi essere seria nell’andare in guerra e…
-Dovresti averlo capito da tempo ma…il dio che mi vuole davvero bene è un dio che mi ha permesso di tornare in vita e mi ha garantito di essere viva oggi –dico io- non è il tuo dio della spada, non è il dio della medicina, né un altro di quei dannati dei. È qualcuno che mi è stato accanto e per cui non ho problemi a devolvere la mia intera esistenza. Non ho intenzione di supportarti in nulla Erik. Dopotutto ti sei sempre vantato di essere invincibile…
-Léonie
-Visto che sei così abile come sovrano, non avrai problemi a esserlo senza la tua regina- dico io- non cercarmi più o incontrerai la mia lama.
****
L’uniforme maschile da cavaliere era stranamente appropriata per Léonie. Indossava pantaloni bianchi con la parte superiore celeste, una giacca da uniforme bianca e celeste con sopra una giacca aperta lunga fino alle caviglie da cavaliere degli stessi colori. Aveva guanti in pelle neri, stivali in pelle neri, blu e con parti di armatura, armatura per coprire il petto e le spalle, una cintura con la custodia della sua spada agganciata e infine la sua adorata spada. La spada di Léonie era una classica spada come forma con una particolare lama rossa in cima e nera alla base, con decori in oro e un occhio al centro dell’impugnatura la cui pupilla era un teschio. Era strano come quella spada l’avesse trovata poco dopo essere diventata la Golden Demon, quasi qualcuno l’avesse notata ma non era certo di lei.
Dopo essersi vestita e preparata raccolse il mazzo di fiori che avrebbe offerto al proprio dio, come da tradizione, e scese per seguire gli altri soldati nell’eseguire la stessa cerimonia.
La zona dei templi era piena di edifici di differente taglio e stile, creando un forte contrasto tra uno e l’altro. Quello della medicina era bianco, immacolato, quello della spada invece era ricoperto di spade decorative.
Eppure nessuno di quelli fu quello dove Léonie voleva andare.
****
-Lady- dice una delle guardie- quello è il tempio del dio dei morti
Io annuisco- lo so
-Non dovrebbe entrare…nessuno è mai uscito felice da quel luogo- mi avvisa lui
-Ciò che faccio o decido di fare è affar mio- dico io- non disturbatemi
Il tempio scuro e abbandonato, i fiori dalle tonalità scure e l’aria isolata…questo posto sembra proprio la sua dimora. Ignoro le guardie entrando nel templio e ignoro la porta che si chiude dietro di me. Questo posto è la prima volta che lo visito ma è più famigliare della mia stessa dimora per qualche motivo…
Mi avvicino all’altare e poso il bouquet di rose rosse sul marmo nero della struttura.
-Ha sbagliato luogo, qui non si venera il dio della Medicina
La voce fredda e distante, l’assenza di presenza.
-E cosa direbbe se io fossi venuta per salutare il dio della morte?
-Che ha qualche rotella fuori posto
-Mai negato ciò- dico io inginocchiandomi per pregare.
La voce distante si silenzia ma un paio di occhi continuano a guardarmi per tutto il tempo.
***
A dirla tutta, Léonie aveva incontrato un solo dio nella sua prima esistenza. Il dio della morte. Quando era chiusa in quella gelida cella, denutrita e sofferente, fu il dio della morte a farle compagnia.
Ogni giorno, poteva sentire la sua presenza finché non riuscì a vedere lo scheletrico essere che le stava accanto.
Non era un chiacchierone e quando parlava la sua intera esistenza si sentiva congelare ma quelle parole erano sempre così rassicuranti.
“Non mi supplichi di lasciarti vivere?” chiese un giorno il dio guardandola con le sue vuote cavità che aveva per occhi.
“Supplico…supplico solo che la morte dei miei famigliari sia il più indolore possibile” disse lei a sorpresa “per la mia…non merito seconde possibilità. Ciò che ho fatto è imperdonabile e merito di essere punita”.
Il dio rimase in silenzio ma ascoltò la sua supplica. I famigliari di Léonie morirono in una maniera gentile prima che il secondo principe potesse ucciderli.
“Non sei cambiata” fu l’ultima cosa che il dio disse a Léonie prima che lei morisse.
Ciò che Léonie non poteva sapere era che il Dio della Morte era già venuto a bussare alle sue porte secoli prima della sua nascita, prima ancora che l’Impero fosse creato.
Il dio bussava alle porte delle persone che stavano per morire e ciò portò i villaggi a diventare estremamente cauti e non aprivano la porta per paura della cosa quando qualcuno bussava. Ciò non cambiava il loro destino ma pensavano, invano, che potevano forse scampare alla cosa. Il dio bussava sempre e nessuno mai apriva…nessuno eccetto una singola povera anima…
Al tempo il Dio bussò alla porta di una piccola decrepita dimora distante dal villaggio. La casa era piccola, piena di aperture e dall’aspetto decrepito, mancava di molte cose, alcune finestre erano state chiuse con delle assi ed era evidente che chi abitava lì non avesse molto per sopravvivere. Se non avesse saputo che vi era una vita all’interno non avrebbe pensato che vi fosse nessuno lì. Al tempo gli altri Dei stavano lavorando per la prosperità del mondo e una vita per loro non valeva molto. Per lui era diverso, ogni vita aveva il suo prezzo e valore.
Quando bussò alla porta ad aprirlo fu una fragile, pallida e molto magra figura. Tremava per il freddo, era troppo pallida per stare in salute e troppo magra per dire che aveva mangiato, i capelli sembravano fili di ragnatela, gli occhi erano incavati e cupi, il corpo pieno di cicatrici ma lo stesso gli sorrise dolcemente quando lo vide e lo invitò ad entrare. Fu la prima volta che incontrò qualcuno che accoglieva la morte per davvero. La ragazzina non aveva nemmeno dodici anni di vita ed era estremamente povera, eppure gli offrì una tazza di thè caldo e quello che probabilmente era il suo pasto per la settimana.
Ebbe modo di parlare con lei per parecchio tempo scoprendo parecchie cose che non capiva. Compassione, pietà, bontà, gentilezza…erano sentimenti che per lui non esistevano finché non incontrò lei.
“Non supplichi per la tua vita?” fu ciò che le chiese
“Non ho nulla da supplicare. Il tempo datomi l’ho speso e sono felice di potermene andare. È stata una vita serena la mia e sono solo felice di poter raggiungere i miei cari”
Quella fu l’unica vita che il dio faticò davvero molto a prendere.
Da allora smise di bussare alle porte dei mortali, prendendoli direttamente dal piano divino e fregandosene di dar loro l’avvertimento che di solito dava. Chi l’avrebbe mai pensato che il giorno in cui avrebbe trovato di nuovo l’anima della bambina, l’avrebbe trovata in una fredda cella e sulla via della ghigliottina. Quando capì ciò che era successo…beh era il dio della morte…non ci mise che un secondo a distruggere l’intera casa reale e a scatenare parecchie morti.
Quando gli dei responsabili della condanna della ragazza vennero trascinati a spiegare la situazione era ancora più furioso, quasi fino al punto di uccidere anche il cerchio divino. Raggiunse personalmente il patto con il dio di un altro mondo e la spedì per un paio di decenni lì. Nel mentre decise di fare un bel reset del mondo in cui vivevano. Il tempo di quel mondo durava pochissimo rispetto al tempo del loro mondo. I decenni che l’anima spese lì furono pochi secondi per il mondo da cui veniva e quando riaprì gli occhi come Léonie, in realtà non era che passata un’ora dall’ultima volta in cui li aveva chiusi.
Lasciò agli dei la libertà di fare come volevano ma tenne ora gli occhi aperti su cosa succedeva alla ragazza, giusto per evitare che gli idioti facessero di nuovo gli idioti.
La sua pazienza non era eccelsa e quando iniziò a notare che gli dei erano troppo intimi con la sua protetta decise di iniziare a intervenire. Non voleva essere però pesante, non voleva che lei si spaventasse via ma…non fu così.
Vederla lì in quel momento confermò lui che lei non aveva per nulla intenzione di andarsene dalla sua esistenza.
-Il dio della morte veglierà su di te- disse freddo come sempre ma per lei vi era calore in quella voce
-Consegnerò al dio ogni anima che lui vorrà –rispose Léonie con un sorriso rasserenato.
Andava bene così per lei, essere uno strumento del dio dei morti era qualcosa che voleva e questo l’aveva resa la sua prediletta.
****
Quella notte come sempre piccole mani la iniziarono a sfiorare. A differenza di ciò che molte statue rappresentavano gli dei non erano esattamente “umani” come aspetto. Erano creaturine di circa sessanta centimetri di altezza, nere come la pece, con artigli al posto di mani, piccole code, orecchie da animale, denti aguzzi e occhi rossi. Erano considerabili piccoli demoni a dirla tutta, gli umani erano al corrente della cosa ma tutti fingevano di non sapere e vedere. La differenza tra una creaturina e l’altra era semplicemente il marchio che avevano sulla propria schiena. Per il resto…chi poteva dire se uno fosse donna o uomo?
Quando il dio della medicina allungò la zampa per sfiorarle il petto una mano scheletrica lo afferrò sul posto. Un corpo scheletrico, occhi vuoti se non per due fiamme celesti, un mantello nero che copriva tutto e un teschio come testa…il dio dei morti non era nemmeno umano. Era uno scheletro dal colore scuro, aveva fiamme celesti che cambiavano colore in base all’umore e portava con sé il freddo della morte.
-Che pensi di fare?
-S…sire…stiamo solo…migliorando i nostri marchi –disse il dio della medicina immediatamente terrorizzato. A creare un nuovo dio ci voleva poco dopotutto.
Il dio mosse la mano e una piccola luce uscì dagli dei per entrare nella ragazza- avete fatto…andatevene
-Ma sire…
Lui li guardò male e le fiamme iniziarono a scurirsi in un rosso sangue. Gli dei sparirono in fretta. Il dio sfiorò con un dito scheletrico il marchio sul petto della ragazza e lo spostò sulla schiena, facendo lo stesso con quello del dio della spada e fondendo i marchi per crearne uno singolo, quello per tutti gli dei.
-Sempre lo stesso- mormorò Léonie accoccolandosi a lui
Il teschio non rispose per molto tempo ma la strinse. Il freddo che Léonie provava non sembrava infastidirla. Quel freddo abbraccio era ciò che le aveva dato speranza tutti quei giorni di prigionia e quelle notti fredde- sei troppo piccola per subire quel tipo di molestia…vedrò di ricordar loro che non sei una donnaccia…
Léonie sorrise serena- rimarrai con me?
-La morte non può sparire da nessuna vita- disse lui- e poi…non posso permettere che altri ti facciano soffrire…
Léonie si tranquillizzò ancora di più, dormendo serenamente per la prima notte in parecchio tempo. Dopotutto, quale miglior abbraccio che quello dell’eterno riposo per dormire serena?
Lo scheletro non si mosse da lei per il resto della notte, era eterno e privo di riposo, non poteva dormire o chiudere occhio, passò la notte a vegliare su di lei. Come in passato…ma stavolta non erano in una fredda cella di prigione e lei non era stata condannata per nulla.
Creare problemi era qualcosa che il dio era abile a fare e perché allora non farlo con chi aveva fatto soffrire la prima e unica umana che lui aveva preso sotto di sé?





Capitolo 11: As Always, you can do anything

Capitolo 11: As Always, you can do anything

-Portate i prigionieri nella cella più distante –disse Alexander
-Si signore
-Voglio un dettagliato interrogatorio, non uccidete o ferite gravemente nessuno. Non è permesso torturare. In caso non parlino informatemi e somministreremo loro il siero che ho creato- disse Alexander con calma
-Si signore
-Roze controlla che tutto vada come detto- disse Alexander
Lei annuì seguendo i loro uomini. Il fatto che lei fosse in carica in teoria era da sempre stato ignorato da tutti, ormai Alexander era considerato capo e sovrano, anche se nessuno aveva intenzione di dirglielo.
-Perché non li uccidiamo e basta? –chiese Dalph
Alexander scosse la testa- non è momento di uccidere
-Ma…
-Dalph, ogni vita conta- disse Alexander
-Ma…
Alexander scosse la testa- se uccidiamo ora rischiamo di mettere in pericolo la BRS
Dalph strinse i pugni- perché…
Alexander lo guardò confuso
-Perché riesci a rimanere calmo anche…
Alexander gli sorrise e lo strinse in un abbraccio- non siamo invincibili Dalph, le nostre azioni vanno tenute con calma o rischiamo di uccidere anche i nostri sul campo di battaglia
-Ma…
-Andrà tutto bene- gli promise Alexander- riusciremo a proteggere la BRS, fosse l’ultima cosa che faccio
-Non è vero…
-Cosa? –chiese Alexander guardando il ragazzo
-Non è vero che non siamo invincibili- disse lui calmandosi- tu lo sei. Sei sempre pronto a tutto e ci salvi sempre…mi salvi sempre. So che niente ci sconfiggerà mai con te al fianco
Alexander gli sorrise nostalgico- non sono invincibile purtroppo, ho molte lacune e un giorno arriverà la mia ora…ma farò tutto in mio potere per evitare che voi siate nei guai, farò ciò che posso per restarvi accanto fino all’ultimo mio respiro e se morirò senza di voi…
-Non dirlo- disse Dalph- non voglio sentirlo
-Dalph…sono umano –disse Alexander- un giorno morirò, un giorno dovrai vedere la mia tomba e dovrai piangere la mia morte purtroppo…
-Ma…
-Ma non è detto che muoia giovane- disse lui tranquillo- di certo non mi farò ammazzare facilmente.
Dalph annuì
-Hey –disse Alexander- vuoi fare un patto?
-Un…patto? –chiese Dalph insicuro
Alexander gli sorrise- se muoio prima di te, ti giuro che tornerò in una nuova vita in futuro più forte e più potente di ora, così forte che l’intera BRS potrà basarsi solo su di me e continuare a lavorare a full power senza problemi…così voi due potrete prendervi una lunga pausa e godervi del tempo insieme…che ne dici?
Dalph lo guardò- se muori prima di me…ti aspetterò, chiaro? Non osare dimenticarti di venirci a trovare Alex, non voglio perdere la mia famiglia per troppo tempo…
-Potresti aspettare tanto- lo informò Alexander
-Aspettassi duecento secoli o un paio di millenni- disse Dalph- se posso rivederti non mi interessa quanto a lungo dovrò aspettarti…
Alexander gli sorrise- allora…aspettami, verrò di nuovo da voi in futuro…chissà magari sarò io il più piccolo dei due questo giro…
Dalph sorrise- non suona male essere il fratello maggiore…
-Ho una cosa per te –disse Alexander prendendo dal cassetto una scatola
-Cos’è? –chiese Dalph curioso
-L’ho fatta io quindi non aspettarti chissà quale livello di professionalità ma…voglio che tu la tieni con te –disse Alexander.
Dalph guardò la collana di argento con un ciondolo a forma di spada e la strinse- Alex…
Alexander gli sorrise- qualsiasi cosa succeda in futuro, che io sia vivo o morto, sarò sempre al tuo fianco Dalph, perché tu sei il mio fratellino e perché io non ho assolutamente intenzione di lasciarti sparire nel nulla. Finché in vita, ti proteggerò e guiderò ogni secondo possibile, e in morte veglierò su di te, aiutandoti come posso. Perché siamo una famiglia e qualsiasi cosa succeda non potrà mai cambiare ciò…ok?
Dalph si strofinò gli occhi- ah guarda te che mi fai piangere…sei un idiota
Alex rise stringendolo in un abbraccio- lo so lo so
-Non morire…non sono pronto per rimanere solo…- disse Dalph
-Promesso. Starò con voi finché potrò Dalph- disse Alex calmando piano il minore.
Ad Alex non piaceva vedere altri soffrire, non si poteva perdonare che in futuro avrebbero sofferto a causa sua per questo avrebbe dato loro ogni ricordo possibile per aiutarli a superare tutto.
Delle volte essere a conoscenza di tutto era solo un ostacolo.


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Capitolo 12: The Wife is back!

Capitolo 12: The Wife is back!

Il braccio destro del re dei Demoni non poté che sospirare quando lo vide di nuovo infuriato senza motivo.
Il re dei Demoni era un figlio di drago, dopotutto in quel mondo ogni essere vivente poteva ottenere il titolo di Demon King senza avere necessariamente la razza dei demoni, il che era confusionario ma i creatori del gioco volevano renderlo op e quale migliore razza dei Draghi che erano quasi divini?
Il re dei demoni aveva capelli neri e occhi color oro, era alto più di due metri, aveva parecchi muscoli e grandi ali nere da drago, aveva lunghe corna di un argento quasi bianco e un volto di chi poteva ucciderti con una mano e non aveva problemi a farlo moralmente.
Era successo un paio di settimane prima che il re era uscito di testa per un paio di minuti prima di tornare nel suo solito stato mentale. Fatto rimaneva che aveva dato un infarto all’intero regno.
-Sire- disse il braccio destro con calma- è meglio che partecipi alla riunione…
Damon Aaron Black non era molto entusiasta all’idea di essere nella presenza dei love interest ma si ricordò in quel secondo che vi era Lizdragon tra loro e che il re e l’Imperatore avevano la personalità del marito.
Si. Il Re dei Demoni era la reincarnazione della moglie del creatore del gioco. Era stato difficile accettare di essere uomo e sinceramente parlando preferiva un corpo da donna, dopotutto lui era la moglie e la madre, non sopportava di essere ora destinato al ruolo di marito e padre ma che ci poteva fare?
Era davvero depressa, si era risvegliata nel gioco e non era con suo marito…e aveva una brutta sensazione che qualche rompipalle fosse tornato. Chi le aveva detto di innamorarsi di un uomo con il charm di un dio in terra?! Aveva passato la maggior parte del suo tempo libero a togliere di torno cagne e cani in calore e suo marito nemmeno se ne era accorto la maggior parte delle volte! Non era colpa di lui però, era sempre o a lavoro o a coccolare lei e i figli, non poteva dargli colpe se ignorava inutili insetti e puttane di basso rango.
Parlando di puttane, per qualche motivo da quando era diventata Damon le donne le davano ancora di più ai nervi che gli uomini. Forse era reazione naturale dopo aver visto l’ammonto di troie che correva dietro al suo maritino e che non capivano di rischiare la morte.
Quando una delle donne del regno ci provava, Damon era stranamente disgustato da loro. Anche se era principalmente attratta a donne, l’unica persona che amava era suo marito. Voleva solamente suo marito al suo fianco e tutti gli altri erano…ostacoli per il loro amore.
Quando notò questo flusso di pensieri non ebbe un secondo di esitazione a scacciare tutti gli altri, non che Damon prima di lei avesse mai avuto rapporti intimi o sessuali con donne o uomini, ma ora era diventato parecchio più freddo e irritato alla presenza di donne attorno a sé.
-Andiamo allora, quei quattro Arciduchi saranno una rottura- mormorò alzandosi dal trono
-Cinque- corresse il demone
-Cosa? Sono quattro –disse lui
-No vostra Maestà. Sono Cinque. L’Arciduchessa Lizdragon ha preso il ruolo verso i suoi sei anni e ha ora il controllo del gruppo- disse l’assistente notando solo ora uno sguardo eccitato da parte del suo sovrano- vostra maestà?
-Che altro è successo!? –chiese lui afferrando l’uomo per le spalle.
Ci volle poco per capire che Lizdragon era anomala. Aveva salvato la madre, ucciso il padre, preso controllo del ducato, diventata Arciduchessa…
-Dov’è il mio completo migliore?! Clarissa dov’è il mantello di scaglie nere? Quello con i bordi di argento?! Ah dannazione perché i capelli non vogliono stare al loro posto oggi!?
L’assistente guardò il re andare di testa, al solito, e alzò un sopracciglio. Era sempre un mistero se quello davanti a sé fosse un uomo o una donna quando faceva così. E perché faceva così? Che volesse incontrare…- sire…volete forse prendere moglie?
-Che moglie! Vado a trovare mio marito! –disse lui
L’assistente lo guardò- m…marito sire?
-Si! –disse lui contento
L’assistente sospirò- perché ho una brutta sensazione…



Capitolo 3: There is a Killer here




Capitolo 3: There is a Killer here

La proprietaria di casa era una bellissima donna dal corpo seducente. Aveva una vitina da vespa, curve definite e ben visibili, lunghe gambe che sembravano non finire più, pelle chiara, occhi di un verde foresta quasi ipnotici, labbra carnose e rosse come il sangue, capelli lunghi fino a metà schiena castani con alcune ciocche di biondo qui e lì. Indossava un paio di jeans rovinati dal tempo, stivali neri con tacco, una canottiera bianca e una camicia a quadri era stata legata alla vita.
-S…salve- disse il bruno dagli occhi verdi guardandola incantato- ehm…
-Posso esserle utile? –chiese lei annoiata dall’ennesimo sguardo di un uomo incantato.
Era una donna pratica la nuova proprietaria di casa. Non amava particolarmente avere la propria privacy disturbata, non amava ospiti indesiderati e non amava avere gente intorno. Questo era qualcosa che presto gli abitanti della casa avrebbero notato.
-James…mi chiamo James! –disse il bruno riprendendosi
Lei alzò un sopracciglio mentre i fantasmi osservavano l’uomo con sentimenti misti. Era chiaro come il sole che l’uomo era caduto a prima vista…era patetico per uomini e donne come loro che avevano vissuto in un’epoca di fidanzamenti arrangiati al di fuori della loro volontà. L’amore vero esisteva solo nelle storie per loro.
L’uomo era lì per consegnare tutti i materiali comprati dalla donna e li mise subito nell’ingresso. Il spazioso ingresso venne presto completamente riempito di pacchi, scatole e assi di legno. Il peso era parecchio a giudicare dallo sforzo che l’uomo faceva, cercando di dare l’impressione di essere forte e dare alla donna una buona impressione. Purtroppo per lui la proprietaria pareva forse più irritata dei fantasmi all’intrusione dell’uomo nella loro dimora. C’era una cosa che avevano imparato con gli anni, delle volte l’istinto ti dava un indizio su chi era meglio evitare e chi era meglio avere amico. In quel momento quell’uomo di nome James non sembrava aver dato alla proprietaria nessun tipo di buona impressione. Dopo essere stato pagato la donna lo invitò ad andarsene e tornare a lavoro, certo non fu diretta ma il sentimento era chiaro per gli spettri che non poterono che darle un paio di punti per l’intelligenza mostrata.
La donna prese un metro dalla sua tasca e una matita dall’altra iniziando a misurare le travi e segnandole dove andavano tagliate. Per un periodo di tempo interminabile non vi fu che il rumore ritmico del metro, della matita e dei suoi tacchi quando si spostava. Dopo aver finito le misure alzò un paio di travi con facilità portandole nella biblioteca. In un paio di viaggi portò il necessario per rifare l’intera biblioteca e dimostrò una cosa, aveva parecchia forza. Tirò fuori dalla borsa una sega e non esitò un secondo nell’iniziare a tagliare le assi, inchiodarle dove dovevano essere inchiodate e rifinire il lavoro con della carta vetrata per evitare schegge. Il silenzio della casa era eterno, interrotto solo dal lavoro costante della donna, instancabile quanto una formica o un’ape. Nel rifare la biblioteca mostrò parecchia abilità con l’ascia, la sega e una buona conoscenza di carpenteria e falegnameria in generale, stupendo parecchio i vecchi spettri che pensavano fossero lavori da uomo.
A differenza delle previsioni, la donna non ebbe problemi a rifare più di tre stanze in un giorno. Durante la prima settimana, in cui gli spettri la lasciarono in pace, notarono quanto poco parlasse o uscisse. Era uscita poche volte e solo se necessario, si era fatta portare parecchio materiale a casa e parlava poco o niente con tutti. In una settimana aveva finito il primo piano di casa e sistemato i mobili esistenti se potevano essere sistemati, bruciato quelli che non potevano essere sistemati e comprato nuovi mobili se servivano. Una cosa che venne notata era l’assenza di tocco personale della donna. La casa era identica a come l’aveva trovata, solo riparata. C’era una poltrona scura vicino al camino che si era rotta? Una nuova poltrona scura era stata comprata per sostituirla. Non parve che fosse il gusto di lei, pareva anzi che stesse copiando il gusto della casa per evitare di renderla accogliente.
La donna era una donna pratica, non aveva disfatto le valigie, non aveva messo oggetti personali in giro e non aveva lasciato niente fuori ordine se non necessario.
Pareva quasi avere intenzione di andarsene da un giorno all’altro.
Un giorno nell’inizio della seconda settimana James, che aveva preso una strana abitudine di apparire troppo spesso nella loro abitazione per il gusto di tutti, e si auto-invitò per una tazza di thè. La cosa tentò davvero tanto gli spettri di far cadere un candelabro o volare un coltello…
-Un killer? –chiese la donna alzando solo un sopracciglio
-Forse non lo sai ma questa cittadina ha una notevole popolarità con i killer
-Cittadina abbandonata nel nulla, polizia assente, difficile da trovare…mi chiedo perché –mormorò lei
-Quindi in caso qualcosa accada…puoi chiamarmi e…
-Sai…- disse lei posando la tazza- quando qualcuno dice così non è mai un buon segno. Sembra quasi che tu stia valutando la possibilità di avvicinarti a me tramite un “incidente” del genere…cosa mi garantisce che tu non sia un killer? Un malato di mente? Uno psicopatico?
Lui si congelò- v…volevo solo essere gentile…
Lei sorrise- ovviamente
-In ogni caso…- disse lui imperterrito- sarò qui per te se…
-Un uomo che si offre volontario per aiutare una donna che vive da sola in una casa lontano da tutti e che la conosce da meno di un giorno se sommiamo tutte le visite fatte e le conversazioni effettuate…mi chiedo se tu stia cercando di essere inquietante o se tu sia onestamente così idiota- rispose lei diretta
Lui rimase stupito ma sorrise lo stesso- non devi aver paura di me…
-Disse l’uomo con un coltello in mano puntato alla gola della sua vittima- replicò lei- credo la sua visita sia durata il necessario. Buona giornata…
-P…posso almeno sapere il suo nome? –chiese lui
-Se dopo una settimana non ti ho detto come mi chiamo…forse dovresti prendere l’indizio e smettere di tentare, non credi James? –chiese lei sbattendogli la porta in faccia e chiudendo a chiave.
Una cosa che notarono nella padrona di casa era la paranoia. Ogni ingresso possibile nella casa era sempre chiuso a chiave e con sistema di sicurezza, che aveva installato lei stessa, attivo. Aveva abbattuto gli alberi vicini a finestre del secondo piano e si era assicurata che l’edera che cresceva non fosse in grado di sostenere una persona adulta nel processo di salire nell’abitazione. Una cosa era certa, era stranamente difensiva contro probabili intrusi e da come si comportava, pareva quasi scappare da qualcuno.
Quando si assicurò che tutto fosse chiuso salì al piano superiore e nella camera che aveva reso sua per accendere il portatile e collegarsi a un sito. Per gli spettri quella tecnologia era aliena ma nessuno rimosse lo stesso gli occhi dallo schermo. Il sito visitato era un sito che registrava i crimini commessi, fintanto che eri un criminale, anche di taccheggio, eri registrato. Ci mise un secondo a fare ciò che faceva ogni giorno dopo aver finito di ristrutturare, controllare i cittadini che abitavano nella città. Molti non erano registrati certo ma parecchi avevano crimini sulla propria fedina penale, cosa che dava lei ragione nella sua paranoia. Non dormiva con una pistola e un coltello sotto il cuscino per nulla. Qualcosa doveva esserle successo.
-Stupro…bel crimine fattorino.
La fedina penale di James era pressoché pulita se non per un paio di denunce, poi abbandonate, di stalking, una di violazione di proprietà privata e una di stupro, che era stata anche ritirata. Se non fosse stato per la condanna per violazione di proprietà avrebbe avuto una fedina pulita per le leggi dello stato che non si sarebbe preso il compito di scrivere le denunce ritirate o abbandonate.
Quando un rumore di passi si sentì nel corridoio, la donna fu veloce a tirare fuori la pistola che portava con sé e togliere la sicura. Il fantasma responsabile del suono si mosse a sparire ma lei controllò la casa lo stesso da cima a fondo. Quando arrivò in cucina si bloccò a guardare la porta della cantina.
Fece una smorfia al pensiero che la porta conducesse all’esterno e che lei non avesse la chiave a ciò.
-Domani…vedremo di aprire la tomba…


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Capitolo 11: Somehow...the protagonist is weird

Capitolo 11: Somehow…the protagonist is weird

Non ci volle molto per Lizdragon a notare la cosa.
La protagonista era completamente fuori di testa.
-Lady Lizdragon pranziamo insieme? Ho fatto dei dolci! –disse la bionda con allegria
-Ms Gold, non è momento- la riprese per la centesima volta Ciel irritato
Jean guardò con irritazione i love Interest che come solito giravano intorno a Lizdragon.
Perché si impicciavano nella sua relazione!?
Nemmeno un secondo libero con la sua Liz le davano!
Nella sua prima vita il suo amato CEO era sposato con quella donnaccia, che ancora non poteva nemmeno lontanamente tollerare, e ora la sua Liz era circondata da questi rozzi e inutili Love Interest
-Lady Lizdragon dì loro di andarsene! –disse lei piagnucolando
Zane sospirò girandosi- pa…Liz non è interessata a te. Smettila di seguirci
-Sai Zane se non c’era lei avrei decisamente puntato su di te, sei decisamente il mio tipo ma lei è più importante- disse Jean
Zane fece una smorfia disgustata- per piacere sparisci dalla faccia dell’universo
In tutto questo Liz continuò a camminare come se nulla fosse.
Aveva capito chi era quella protagonista…
Lui e Nicholas erano amici ma non era mica stupido.
Sapeva benissimo che l’altro si era innamorato ma per lui…sua moglie era l’unica opzione.
-Lady Lizdragon non si sposerà mai con qualcuno di rango inferiore- disse Ciel
-Ah quindi non si sposerà nemmeno con te –disse Liam
-My Lady non potrebbe mai sposarsi con un moccioso- rispose Light
-Moccioso? –chiese Stephan con un sorriso inquietante
Dylan strinse i pugni- sempre a interferire tra noi due…
Zane raggiunse Liz con calma- papà dovresti sinceramente evitare di immischiarti con gentaglia del genere. Che succederebbe se mamma si arrabbiasse?
-Zane mi hai chiamato mamma? –chiese Jean con un sorriso
-Sparisci tu, mia madre non sei tu! –disse lui ignorandola e continuando a camminare con Liz
A questa conversazione Sebastian e Carter potevano solo alzare gli occhi al cielo. Certo che tutti problematici erano quelli che si interessavano a lei
-Mamma? Papà? Che diavolo… -iniziò a chiedere l’Imperatore che era arrivato a riprendersi il figlio- Zane non dovresti chiamare me papà?
-Sua maestà la prego di non interferire –disse Zane ignorandolo
-Aspetta chi è la madre? –chiese il padre di Ciel che si stava godendo lo spettacolo
-Mia moglie ovviamente- rispose Liz tranquilla
-Sei sposata?! –chiese un coro disperato
-No che non lo è! –disse subito l’Imperatore- lo saprei in caso
Zane fece una smorfia, Liz gli aveva raccontato della moglie, beh solo della personalità ma dettagli, e visto che lei diceva di essere sposata lui le credeva. Non lo era? Chissene, se diceva di esserlo lo era! Per questo…- e per questo che sei inutile come sovrano! Mio padre è sposato e tu nemmeno lo sai! Che inutile Imperatore…
-Zane…papà sa di aver sbagliato a ignorarti, per favore torna a casa- piagnucolò l’Imperatore per la centesima volta
In tutto questo Liz ignorò tutti. Aveva la sensazione che se sua moglie tornava in vita si sarebbe creato il caos…
Ora che ci pensava l’unico personaggio con il carattere della moglie nel gioco era…
Un sorriso cattivo le apparve sul volto.
Forse doveva creare un incidente politico per verificare…





Capitolo 23: I will go




Capitolo 23: I will go

-Lé –urlò Adrien entrando in quel momento- riesci ancora a combattere quindi?
-Che ci fai qui? –chiese lei diretta riprendendo una spada dal cadavere vicino- dovevi sistemare la guerra che si è creata al lato ovest, che ci fai qui a perdere tempo?
-Ah…ecco…- disse lui sfiorandosi la spalla
-Ti sei fatto colpire lì? –chiese lei sospirando- cos’hai tre anni? A chi diavolo pensavi per fare un errore da pivelli del genere Lyo?
-Mi spiace…- disse lui sembrando un cucciolo che era appena stato punito dal padrone
-Allora? Perché sei qui? –chiese Léonie
-Papà vuole che prendi il mio posto a comando delle truppe…- disse lui
Lei lo guardò- sono un dottore non un soldato
Lui guardò i cadaveri- credo te la cavi meglio di me come soldato…
-Questo perché sei uno sfaticato che non vuole spendere due ore su una dannata spada fratellone –disse lei muovendo una mano- legate i superstiti
I soldati scattarono all’ordine e Veronique si ricordò che esisteva- tu sei Katherine Madeleine Léonie De l’Épée, tu sei il Golden Demon!? Perché nessuno mi ha informata!?
-Ti hanno provato a dire che ero loro figlia ma sei partita in sesta- disse Léonie tranquilla- inoltre sono teoricamente solo Léonie ora visto che il secondo principe mi ha forzata a rinunciare al titolo
-Papà si è scordato della cosa quindi sei ancora erede- sorrise Adrien
Lei lo guardò male- Lyo…
-E potrei aver rinunciato al titolo quindi sei costretta ad accettarlo…- disse lui
-Se è perché mi hai spinto giù dalle scale…- iniziò lei
-Aspetta tu sei il figlio di puttana che le ha tolto la protezione!? –chiese infuriato Alaric guardandolo
-Sempre bello vedere che più tu diventi popolare più io divento odiato- disse Lyo senza particolare risentimento
-Così impari a spingere la tua sorellina giù dalle scale perché ti ha fatto il culo nell’allenamento di spada quella mattina- gli rispose lei controllando le ferite dei soldati che avevano difeso il castello
-Devi andare- disse lui- sai che papà non ha l’età per essere solo lì…e non è che abbiamo un terzo figlio a cui mollare il ruolo e…
-Non ti sei nemmeno fatto tanto male alla spalla vero? –chiese lei
Lui evitò il suo sguardo- fa malissimo…
-Certo e Alaric è biondo- disse Léonie guardando la medaglia che Adrien le stava dando
-Per favore Léonie…- disse lui
Lei sospirò prendendo la medaglia e prendendo quindi i doveri dell’erede della sua famiglia- sei insopportabile come sempre Adrien…vedi di renderti utile mentre io faccio il tuo lavoro…Liam, Peter, Ava, lascerò a voi la clinica
I tre confusi annuirono.
Che diavolo era successo nell’arco di venti minuti!?
Veronique la guardò- aspetta cosa?! Non puoi andare in un campo di battaglia! Potrebbero farti male!
Adrien guardò i cadaveri a terra- ehm…non ci giurerei se fossi…
-Zitto tu- disse lei ancora furiosa con lui per la cosa delle scale
Lui alzò le mani in segno di resa. Mai andare contro una donna era diventato il suo motto quindi…
Léonie mosse una mano- ho fatto più anni sul campo di battaglia che fuori…
-Comincio a chiedermi se dovremmo parlare con l’Arciduca su come educa i figli…- mormorò Carter calciando un cadavere- e se può per piacere renderli meno inquietanti…
-Cosa? Uccidere è divertente- disse Léonie
-Il fatto che un dottore lo stia dicendo mi inquieta- disse Carter notando poi che Alaric era partito di testa e aveva quasi dei cuoricini che gli giravano intorno- a quanto pare non inquieta il paziente però…


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Capitolo 22: The...Demon!




Capitolo 22: The…Demon!

-Léonie! –chiamò Alaric cercando di fermarla ma nessuno riuscì a bloccarla.
-Lady! –urlò una guardia.
-Sta indietro- disse lei spingendo la guardia verso i principi- vedi di fare il tuo lavoro e proteggere i principi, io me la vedo con loro
-Ma…
Una freccia venne scagliata e Léonie ruotò una delle spade tagliandola a mezz’aria, facendo prendere un colpo a tutti.
Il soldato che aveva scagliato la freccia rise- bei riflessi per una mocciosa
Léonie ruotò gli occhi e gli scagliò la spada contro, prendendolo alla gola- ottimi riflessi per un cadavere.
Recuperò la spada con nonchalance dal morto e guardò i soldati rimanenti.
-Ah…è da un po’ che non mi esercito con una spada quindi mi scuso se sono più lenta e arrugginita del solito…
Uno dei soldati fece per dire qualcosa ma nel secondo in cui Léonie smise di parlare lei era sparita e otto cadaveri erano apparsi nel corridoio e lei era alla fine del corridoio.
-Come…cosa…che?! –chiese Carter guardando Alaric- spiegazione?!
-Eh…ehm…eh…
Léonie sorrise guardando i soldati dalla balconata interna della casa- ne avete di fegato per tentare una cosa del genere con me qui…
Quando Léonie era piccola e in situazioni di pericolo sentiva una strana energia dentro di sé, quando ottenne il nome di “Golden Demon” era alquanto confusa, sapeva solo che il suo corpo si muoveva in automatico per uccidere.
La storia di come divenne il Golden Demon era molto più normale di ciò che si poteva pensare.
Con un salto scavalcò la ringhiera e atterrò con eleganza di fronte ai soldati e ruotò le spade.
-Ah…mi mancava poter uccidere indiscriminatamente…
Quando Léonie e Adrien erano piccoli il padre dei due li portava sui campi di battaglia per abituarli a quello che era la guerra.
La cosa non era esattamente salutare per la mente dei bambini ma dettagli…
Li teneva in una base sicura dove potevano “assaporare” la guerra ma non erano in pericolo.
Almeno non era completamente privo di cervello…che la moglie lo volesse uccidere ogni volta che ci provava a portarli nella battaglia era un altro discorso…
Una di quelle volte il plotone nemico riuscì in qualche modo a raggiungere la base e prendere velocemente il sopravvento.
Adrien era completamente paralizzato dalla paura e la spada che teneva in mano gli cadde.
Léonie fu quella che la raccolse e fece la strage.
Léonie si mostrò particolarmente pericolosa, più uccideva più veloce e letale diventava e quando i soldati e suo padre arrivarono alla base ciò che videro fu un mucchio di cadaveri, Léonie con spade insanguinate in mano e il terrore di tutti quelli che erano presenti e sopravvissuti.
Uno dei pochi soldati nemici che erano rimasti in vita scoppiò a piangere e pregò loro di fargli quel che volevano ma di allontanare il demonio biondo da lui…
I nemici nel castello di Veronique ebbero vita breve e quando Veronique arrivò trovò Léonie nel mezzo del combattimento.
Ogni traccia della debole e docile ragazzina che adorava era sparita e sembrava davvero indemoniata.
-Non…non l’accetto! Non accetterò che una popolana mi batta! –urlò il nobile a capo della cosa
-Oh? E chi ha detto che io non abbia un titolo nobiliare? –chiese Léonie ruotando la spada e sorridendo- il mio nome è Katherine Madeleine Léonie De l’Épée, unica figlia dell’Arciduca De l’Épée, conosciuta anche come…
-Golden…Demon…- disse lui sbiancando
Lei sorrise- a quanto pare…anche senza protezione del dio della spada riesco ad uccidere chi mi pare…


Capitolo 10: He is my brother, I will save him!

Capitolo 10: He is my brother, I will save him!

Alexander era un ragazzo che non aveva mai avuto problemi ad uccidere. Fin da piccolo Dalph l’aveva visto combattere come il più esperto dei guerrieri e per quella ragione si fidava di Alexander ciecamente.
-Ok voce- disse Alexander quando fu solo nel bosco- trovalo…
Alexander chiuse gli occhi e per un secondo il rosso dei essi divenne completamente nero. L’immagine si mossero in fretta fino a un capanno dove vide Dalph poggiato a un muro sanguinante e soldati nelle vicinanze.
-Dannazione…- disse riaprendo gli occhi e iniziando a correre.
Alexander era umano ma non era per nulla normale. Era più veloce di ogni altro essere vivente e più forte di qualsiasi essere vivente. Era impossibile per chiunque batterlo in uno scontro uno a uno.
Ci mise pochi secondi a vedere i soldati avvicinarsi.
Come intervenire però?
Non poteva attaccare direttamente.
Ma se Dalph continuava a perdere sangue…
Strinse la sua spada e avanzò con calma, in qualche modo nascosto alla vista dei suoi nemici.
-Qui! –urlò uno dei soldati.
Alexander avanzò con un balzo tagliando la testa del soldato che aveva urlato.
-Che dia…
-State attenti!
-Armi! Armi!
-Uccidetelo!
Il rumore di spade, cadaveri, urla, il sangue…
Alexander sorrise nostalgico…
Ah era proprio vero, non potevi scappare dalla tua vera natura…
-Che diavolo…
La porta della capanna venne buttata giù da un calcio e una figura a lui nota entrò
-Alex?
Il ragazzo gli sorrise e si sbrigò a mettergli un braccio intorno alla vita e tirarlo su- andiamocene da qui veloce
-Sei…venuto…
-E che dovevo fare? Lasciarti morire?
Dalph sorrise e chiuse gli occhi- grazie…
-Sei mio fratello Dalph, ti piaccia o meno
Lui rise- grazie…
-Quanto profonda la ferita?
-Non letale ma sto perdendo parecchio sangue- disse Dalph poggiandosi completamente all’amico
Alexander annuì sostenendolo- tranquillo, ne uscirai vivo
Dalph annuì tranquillo. Con Alexander al suo fianco non aveva mai nulla da temere. Lo veniva sempre a salvare, non importava quanto dura fosse la situazione, Alexander era sempre pronto a rischiare la sua vita per loro.
Alexander gli diede un veloce primo soccorso prima di tirarselo sulla schiena e trasportarlo con velocità alla loro base.
Roze quando li vide ricoperti di sangue scoppiò in lacrime- no…
-Non è mio –disse Alexander veloce- veloce magia curativa. Jack va a prendermi le pozioni per aiutare a ricuperare il sangue. Sarah dove sono le medicazioni anti veleno? Muovetevi!
Tutti corsero su suo ordine. Come sempre Alexander era quello che sapeva cosa fare in ogni occasione.
Roze non lasciò il fianco di Dalph per l’intera convalescenza del biondo, a questo Alexander poteva solo sorridere.
Ah…qualcosa gli diceva che ci sarebbero voluti secoli prima che avrebbe avuto qualcuno così devoto al suo di fianco…



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Capitolo 9: Trapped

Capitolo 9: Trapped

Quando Roze richiese l’aiuto di Alexander per vendicarsi sui nobili e magari togliere dal trono il re, facendo una vera e propria ribellione, non si aspettava che lui l’avrebbe davvero aiutata e presa sul serio. In una settimana la portò davanti a più di cento uomini e donne pronti a seguirla nella sua impresa.
A dirla tutta Roze e Dalph non erano per nulla portati per il comando e non sapevano esattamente come aiutare nella cosa, per questo Alexander, il secondo in comando, era stranamente più potente di Roze che era teoricamente il capo della ribellione.
Roze era veramente grata ad Alexander per ciò. Con lui al suo fianco era impossibile perdere e questo l’aveva resa più tranquilla e sicura di sé.
Dalph era eccelso come terzo in comando, seguendo ciò che diceva Alexander era facile eseguire le missioni e principalmente spendeva tempo con Roze.
Alexander era quello che realmente aveva potere sulla società che si era creata e che muoveva tutti secondo piani decisi e sicuri, rendendo gli uomini sotto di lui estremamente fedeli a lui, se avesse provato a farsi capo nessuno avrebbe avuto problemi ad accettarlo.
Fu Alexander ad addestrare tutti.
Alexander trovò chi aggiungere alla ribellione.
Alexander propose di fare il rito per unire le “voci” con alcuni uomini e donne scelte.
Alexander a dare nomi a ogni singola “Rosa” e creare le posizioni che in futuro sarebbero rimaste note a tutti.
Alexander scelse il nome della loro “società” chiamandola la Black Roses Society, approvato da tutti quanti con entusiasmo.
Alexander a trovare streghe e stregoni con abilità da unire alla ribellione.
Alexander chi fece sviluppare i poteri di tutti.
Alexander che, nonostante non avesse poteri, spiegò loro con calma come usarli.
Alexander che sceglieva come muoversi.
Alexander che mostrava una calma eccelsa non importa che situazione avevano davanti.
Alexander che mostrava le abilità di leader.
Alexander che mostrava di avere le qualità di un sovrano.
Alexander che era preciso in ogni mossa e che stava portando tutti alla vittoria.
Alexander, The Black Lion, era chi il regno temeva, non Roze.
Eppure lui insistette nel lasciare Roze al comando, confondendo parecchi nella sua scelta. Specialmente Dalph.
Ora, Dalph non era un uomo con particolare intelligenza emotiva, era difficile per lui comprendere cosa significasse avere sentimenti amorosi ma non era abbastanza stupido per ignorare che aveva sviluppato sentimenti per Roze che erano più forti di un’amicizia a furia di starle accanto e la cosa gli dava problemi.
Alexander era gentile e buono con tutti, era ovviamente il miglior candidato come fidanzato mentre lui…
Dalph era davvero geloso di Alexander in quel periodo ma Alexander non gli dava mai motivo per odiarlo e con il loro passato insieme era impossibile per lui odiarlo. Alexander era e sarebbe sempre stato il miglior fratello maggiore che potesse avere.
Roze anche ammirava molto Alexander e per Dalph…beh per lui Roze era innamorata di Alexander…
Ironico che Alexander fosse l’unico ad aver capito che i due erano innamorati reciprocamente e stavano usando lui come una scusa per non stare insieme…
Un giorno i due finirono con il litigare, mentre Alexander era fuori ad abbattere l’ennesima casa di nobili, e Dalph decise di andare a combinare guai da solo.
E la situazione…
-I soldati l’hanno accerchiato!? –chiese Alexander facendo saltare tutti per il tono che usò, era raro vederlo arrabbiato…
-Si Signore- disse uno degli uomini con rispetto e cercando di non tremare
-Lo vado a recuperare- disse Alexander afferrando la giacca
-V…vengo con te! –disse Roze- è colpa mia e…
-Roze. Credo tu abbia abbastanza cervello per capire che in questo momento non saresti utile nemmeno a salvare te stessa. Rimani qui e non costringermi a dover fare il triplo del lavoro. Tu e Dalph non siete mocciosi di due anni, non voglio rivedere questa situazione in futuro. Intesi? –chiese Alexander
Lei annuì- io…
-Se vuoi essere di aiuto, allenati- disse Alexander- io non sono immortale, non importa quanto vorrai tenermi al tuo fianco, la mia vita è stabilità da numeri mortali. Dovrai imparare un giorno a controllare la Black Roses Society senza di me…
-Alexander… -disse lei in panico- non…non dire queste cose…
Lui sorrise scompigliandole i capelli- morire non è la cosa più brutta del mondo Roze. La vita continuerà anche senza di me qui e tu devi essere forte per quando quel tempo arriverà…me lo puoi promettere?
Lei si congelò per un paio di secondi prima di annuire- farò il mio lavoro…te lo giuro.
Lui sorrise- tornerò con Dalph. Tranquilla, ci vorrà prima che qualcuno possa farmi fuori…
Poco sapeva Roze che ciò che Alexander aveva previsto sarebbe diventata la crudele realtà…




Capitolo 2: The Black Mansion




Capitolo 2: The Black Mansion

La villa dei Black era una dimora che in pochi potevano mancare una volta entrati nella cittadina. Sovrastava tutto dopotutto.
La strada che portava alla villa era circondata da alberi e fogliame, rendendola oscura anche con la luce del sole, le buche su essa erano poche e quasi inesistenti ma erano lo stesso abbastanza da creare una perenne sensazione di angoscia in alcuni guidatori, gli avvallamenti di terreno ti facevano chiedere se fosse davvero strada ciò che stavi attraversando con le tue ruote o forse un cadavere lasciato per strada. Dopotutto era abbastanza buio delle volte da renderti facile preda della paranoia e come evitarla se eri qualcuno al corrente della storia della villa e dei suoi successivi abitanti?
I due agenti immobiliari erano terrorizzati dall’idea di mettere piede in quella dimora ma cosa potevano farci? Dovevano vendere e finalmente qualcuno voleva prenderla.
La dimora era una villa in stile vittoriano dai toni scuri, tipici dell’epoca, aveva tre piani visibili dall’esterno e l’ambiente che aveva intorno a sé urlava “creepy”. Il fatto che il tempo aveva deciso di aiutare l’inquietudine di tutti oscurando il cielo quel che bastava per darti l’impressione che saresti stato bloccato da un acquazzone lì per la notte non aiutava per nulla.
-Da questa parte ms. –disse uno di loro aprendo la grande porta ad arco della villa che invitò all’ingresso con un inquietante cigolio. La prima cosa che potevi vedere entrando era polvere. Le finestre erano oscurate da anni di negligenza, l’accumulo di polvere era tale che potevi vederla ondeggiare nell’aria. I mobili erano coperti da teli bianchi, dando sempre un dubbio su cosa ci fosse sotto quel telo…
L’ingresso dava sulle scale per salire al secondo piano. Erano due rampe di scale messe a semi cerchio ai lati della stanza che portavano poi alla balconata interna della casa. Il pavimento era fatto di legno scuro e scricchiolò nel secondo qualcuno ci mise piede sopra. Il gigantesco lampadario appeso al soffitto nel vuoto tra le due scale dava l’impressione che poteva cadere davvero facilmente per qualche motivo, dando ulteriormente inquietudine ai due agenti immobiliari. Ai muri vi erano vari porta candela che originalmente tenevano delle candele di cera al loro interno ma che erano state modificate da un precedente proprietario e poi dalla compagnia che voleva vendere la casa per essere normali luci moderne con un circuito elettrico e una lampadina. Sui muri nessun quadro era stato rimosso ma erano tutti coperti da teli bianchi, ormai ingrigiti dalla polvere.
-Questo è l’ingresso della dimora ms. Come può notare la situazione non è per nulla tragica ma la casa necessiterà dei lavori.
Non ricevendo risposta l’agente lo prese come un segno positivo, anche se la loro cliente era difficile da decifrare, e continuò il tour della dimora. La villa era in origine una dimora di nobili vittoriani, il che comportò che cose come cucina, lavanderia, magazzino e altre stanze di uso della servitù erano al primo piano mentre al secondo vi erano le camere da letto e varie camere di hobby. Vi era una particolare biblioteca a due piani che partiva dal piano terra e saliva fino al secondo piano. Gli scaffali erano rovinati e per la maggior parte rotti o crollati, i libri ammucchiati in varie scatole che iniziavano a mostrare segni di muffa, delle statue segnavano le sezioni della biblioteca visto che gli scaffali erano stati costruiti tra varie colonne di appoggio, dando l’idea di un labirinto a chiunque la visitasse per la prima volta. Mentre gli agenti fecero del loro meglio per mettere una buona parola sulla dimora, la futura padrona di casa allungò una mano per rimuovere il telo su una delle statue, ignorando le proteste dei due agenti e i loro volti pallidi quando videro quel demoniaco volto.
-I…I proprietari originali…pre…preferivano questo stile…pare che sia…impossibile rimuoverli- disse l’agente sperando di non perdere altri anni di vita.
-Non sono un problema- disse lei senza darci molto caso. Il proprietario precedente aveva segnato ogni sezione con un gargoyle di pietra finemente intagliato con il più orribile volto possibile ma la ragazza non parve curarsene.
Le camere erano tutte nelle stesse condizioni dell’ingresso e della biblioteca. I lavori che servivano per renderla vivibile erano parecchi ma la nuova acquirente parve non darci molto peso e ascoltava con orecchio da mercante ciò che i due uomini dicevano sulla casa. Non era particolarmente curante delle superstizioni che giravano su di essa e non era particolarmente interessata al valore della cittadina o del calore del vicinato. Era lì per lavoro non per ozio.
-I documenti dicevano di una cantina di vino- disse lei di colpo quando si fermarono in cucina
I due annuirono- corretto, sarebbe sotto di noi in questo momento. Vi sono due accessi, uno qui dalla botola che può vedere e l’altro è all’esterno, vicino al capanno con gli attrezzi, il generatore e pezzi di ricambio vari…
-Possiamo entrare nella cantina? –chiese lei
-Le piace il vino? –chiese uno degli agenti- abbiamo dell’ottimo vino prodotto dai nostri con…
-La cantina- ripeté lei ignorando il tentativo di distrarla dell’agente
-Mi spiace…non abbiamo trovato le chiavi della cantina di vino, pare che siano andate perdute…
-Entrambe le entrate? –chiese lei alzando un sopracciglio
-S…si…pare…non sappia che cosa succedeva in questa dimora…- iniziò uno dei due agenti beccandosi una gomitata dall’altro per silenziarlo.
-Degli omicidi? –chiese lei diretta- ne sono al corrente
-La cantina pare sia dove tenevano i corpi…- disse uno degli agenti- non abbiamo mai trovato la chiave quindi non sappiamo…
-Visto che la dimora è ora mia…non avrò problemi a risolvere l’inconveniente- disse lei tranquillamente
-Vuole comprarla? –chiesero i due in coro stupiti
-Pare che il vostro datore di lavoro non vi abbia informati…ho comprato la dimora due giorni fa. Oggi siete qui solo per farmela vedere- disse lei guardandosi intorno- le chiavi…
L’agente le lasciò il grosso mazzo di chiavi- spero lei si trovi a suo agio qui e…
-Certo –disse lei tagliando corto la conversazione
-C…come mai ha scelto di vivere qui? –chiese l’altro
Lei alzò un sopracciglio- non è affar vostro mi sembra…vorrei essere lasciata sola…grazie del vostro lavoro. Dovreste andare prima che sia troppo tardi…
I due rabbrividirono guardando il tempo fuori e annuirono. La ragazza li guardò partire in quarta per correre fuori dalla zona prima di dirigersi alla sua automobile per recuperare degli scatoloni e delle valigie. La sua auto era di modeste dimensioni e non così tanto vistosa, un colore scuro e facilmente confondibile nella marea di auto che potevi vedere ovunque. Ora era più visibile però grazie al piccolo rimorchio che aveva dietro con il restante degli oggetti che si era portata. Per essere qualcuno che si stava trasferendo in una dimora che poteva ospitare otto famiglie parecchio numerose, la quantità di oggetti era davvero minima.
Tra le camere che poteva scegliere nel secondo piano per rendere camera sua, decise di prendere quella con la targa che diceva Lord Jonathan. Buttò sul letto matrimoniale la valigia e osservò disinteressata i mobili in legno antico.
Ripulì velocemente la stanza e il bagno privato di essa e si sistemò per la notte. Era troppo stanca per fregarsene del resto della dimora in quel momento e avrebbe iniziato a sistemare tutto il giorno dopo.
Tirò fuori dalla borsa due panini e una bottiglia di acqua e dopo aver cenato, si fece una doccia caldo, grata che le tubature parevano funzionare, e si coricò a dormire nel letto.
In tutto questo, il proprietario della camera non sapeva bene come reagire a ciò che aveva appena visto.
Gli abitanti della dimora scoprirono presto che la nuova proprietaria dormiva poche ore la notte. All’alba era già in piedi e in giro per sistemare la dimora. Dopo aver sistemato per mezza mattinata, entrò nella biblioteca con un borsone da palestra dal quale tirò fuori un’ascia che sembrava davvero ben tenuta e senza esitare iniziò a rompere gli scaffali della sala. Dopotutto erano pericolanti di loro e sarebbero crollati ma vederli abbattuti a colpi di ascia era qualcosa che lasciava un certo senso in sospeso…
La ragazza parve abituata ai lavori manuali e fu veloce iniziare la creazione e montatura di nuovi scaffali con il materiale che si era già preparata prima di venire a vivere nella dimora. Di fatto il rimorchio aveva per la maggior parte solo oggetti per restaurare l’abitazione e lei aveva già ordinato altro materiale nella cittadina che qualcuno le avrebbe portato nel primo pomeriggio. Per fantasmi abituati a tempi non proprio moderni era strano vedere una donna così indipendente e abile di fare cose che erano un concetto maschile nella loro epoca. Avrebbero anche chiesto se si erano sbagliati sul sesso del nuovo proprietario se non fosse per…evidenti prove di che genere fosse la nuova proprietaria…prove parecchio evidenti che avevano reso uno dei fantasmi parecchio silenzioso.
Quando si sentì il campanello dell’ingresso suonare la ragazza decise di prendersi una pausa e raccogliere il materiale ordinato.
-Consegna per la signor…ina…-iniziò un castano dagli occhi verdi- s…salve
Qualcosa era certa. La dimora e la proprietaria erano particolarmente abili nell’attirare l’occhio altrui…



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