Capitolo 24: Hello my old Friend
Ho imparato nel peggiore dei modi che tutti dicono ciò che
vuoi sentire.
-Léonie ti prego lasciami spiegare! –dice per la centesima
volta Erik che mi ha beccato da sola
-Cosa vuoi spiegare? –chiedo io- che sei il responsabile
della mia rovina? Che sei chi ha ucciso tutto ciò a cui tenevo? Cosa vuoi
spiegare Erik?
-Ho sbagliato…ho davvero sbagliato con te ma questa volta
farò ciò che devo. Ti renderò la mia regina e…-inizia lui cercando di prendermi
la mano ma io la scaccio
-Sono sempre stata la regina, sei stato tu a mettere il
“cattiva” al mio nome! Tu e le tue otto puttane!
-Mi hanno imbrogliato, non pensavo…
-A fare ciò che avete fatto si gioca in due Erik. Nessuna di
loro ti ha stuprato, forzato o manipolato. Sei tu chi ha creato la situazione e
tu chi la dovrà risolvere. Io non ho intenzione di avere a che fare con te.
-Léonie…
-Farò quattordici anni tra pochi mesi Erik. Quando ne avevo
quindici divenni tua moglie e tu mi hai uccisa prima che io potessi farne
venti…dimmi perché dovrei darti retta…perché l’unica cosa che voglio è che tu
sparisca dalla mia vita.
-Non puoi essere seria nell’andare in guerra e…
-Dovresti averlo capito da tempo ma…il dio che mi vuole
davvero bene è un dio che mi ha permesso di tornare in vita e mi ha garantito
di essere viva oggi –dico io- non è il tuo dio della spada, non è il dio della
medicina, né un altro di quei dannati dei. È qualcuno che mi è stato accanto e
per cui non ho problemi a devolvere la mia intera esistenza. Non ho intenzione
di supportarti in nulla Erik. Dopotutto ti sei sempre vantato di essere
invincibile…
-Léonie
-Visto che sei così abile come sovrano, non avrai problemi a
esserlo senza la tua regina- dico io- non cercarmi più o incontrerai la mia
lama.
****
L’uniforme maschile da cavaliere era stranamente appropriata
per Léonie. Indossava pantaloni bianchi con la parte superiore celeste, una
giacca da uniforme bianca e celeste con sopra una giacca aperta lunga fino alle
caviglie da cavaliere degli stessi colori. Aveva guanti in pelle neri, stivali
in pelle neri, blu e con parti di armatura, armatura per coprire il petto e le
spalle, una cintura con la custodia della sua spada agganciata e infine la sua
adorata spada. La spada di Léonie era una classica spada come forma con una
particolare lama rossa in cima e nera alla base, con decori in oro e un occhio
al centro dell’impugnatura la cui pupilla era un teschio. Era strano come
quella spada l’avesse trovata poco dopo essere diventata la Golden Demon, quasi
qualcuno l’avesse notata ma non era certo di lei.
Dopo essersi vestita e preparata raccolse il mazzo di fiori
che avrebbe offerto al proprio dio, come da tradizione, e scese per seguire gli
altri soldati nell’eseguire la stessa cerimonia.
La zona dei templi era piena di edifici di differente taglio
e stile, creando un forte contrasto tra uno e l’altro. Quello della medicina
era bianco, immacolato, quello della spada invece era ricoperto di spade decorative.
Eppure nessuno di quelli fu quello dove Léonie voleva
andare.
****
-Lady- dice una delle guardie- quello è il tempio del dio
dei morti
Io annuisco- lo so
-Non dovrebbe entrare…nessuno è mai uscito felice da quel
luogo- mi avvisa lui
-Ciò che faccio o decido di fare è affar mio- dico io- non
disturbatemi
Il tempio scuro e abbandonato, i fiori dalle tonalità scure
e l’aria isolata…questo posto sembra proprio la sua dimora. Ignoro le guardie
entrando nel templio e ignoro la porta che si chiude dietro di me. Questo posto
è la prima volta che lo visito ma è più famigliare della mia stessa dimora per
qualche motivo…
Mi avvicino all’altare e poso il bouquet di rose rosse sul
marmo nero della struttura.
-Ha sbagliato luogo, qui non si venera il dio della Medicina
La voce fredda e distante, l’assenza di presenza.
-E cosa direbbe se io fossi venuta per salutare il dio della
morte?
-Che ha qualche rotella fuori posto
-Mai negato ciò- dico io inginocchiandomi per pregare.
La voce distante si silenzia ma un paio di occhi continuano
a guardarmi per tutto il tempo.
***
A dirla tutta, Léonie aveva incontrato un solo dio nella sua
prima esistenza. Il dio della morte. Quando era chiusa in quella gelida cella,
denutrita e sofferente, fu il dio della morte a farle compagnia.
Ogni giorno, poteva sentire la sua presenza finché non
riuscì a vedere lo scheletrico essere che le stava accanto.
Non era un chiacchierone e quando parlava la sua intera
esistenza si sentiva congelare ma quelle parole erano sempre così rassicuranti.
“Non mi supplichi di lasciarti vivere?” chiese un giorno il
dio guardandola con le sue vuote cavità che aveva per occhi.
“Supplico…supplico solo che la morte dei miei famigliari sia
il più indolore possibile” disse lei a sorpresa “per la mia…non merito seconde
possibilità. Ciò che ho fatto è imperdonabile e merito di essere punita”.
Il dio rimase in silenzio ma ascoltò la sua supplica. I
famigliari di Léonie morirono in una maniera gentile prima che il secondo
principe potesse ucciderli.
“Non sei cambiata” fu l’ultima cosa che il dio disse a
Léonie prima che lei morisse.
Ciò che Léonie non poteva sapere era che il Dio della Morte
era già venuto a bussare alle sue porte secoli prima della sua nascita, prima
ancora che l’Impero fosse creato.
Il dio bussava alle porte delle persone che stavano per
morire e ciò portò i villaggi a diventare estremamente cauti e non aprivano la
porta per paura della cosa quando qualcuno bussava. Ciò non cambiava il loro
destino ma pensavano, invano, che potevano forse scampare alla cosa. Il dio
bussava sempre e nessuno mai apriva…nessuno eccetto una singola povera anima…
Al tempo il Dio bussò alla porta di una piccola decrepita
dimora distante dal villaggio. La casa era piccola, piena di aperture e
dall’aspetto decrepito, mancava di molte cose, alcune finestre erano state
chiuse con delle assi ed era evidente che chi abitava lì non avesse molto per
sopravvivere. Se non avesse saputo che vi era una vita all’interno non avrebbe
pensato che vi fosse nessuno lì. Al tempo gli altri Dei stavano lavorando per
la prosperità del mondo e una vita per loro non valeva molto. Per lui era
diverso, ogni vita aveva il suo prezzo e valore.
Quando bussò alla porta ad aprirlo fu una fragile, pallida e
molto magra figura. Tremava per il freddo, era troppo pallida per stare in
salute e troppo magra per dire che aveva mangiato, i capelli sembravano fili di
ragnatela, gli occhi erano incavati e cupi, il corpo pieno di cicatrici ma lo
stesso gli sorrise dolcemente quando lo vide e lo invitò ad entrare. Fu la
prima volta che incontrò qualcuno che accoglieva la morte per davvero. La
ragazzina non aveva nemmeno dodici anni di vita ed era estremamente povera,
eppure gli offrì una tazza di thè caldo e quello che probabilmente era il suo
pasto per la settimana.
Ebbe modo di parlare con lei per parecchio tempo scoprendo
parecchie cose che non capiva. Compassione, pietà, bontà, gentilezza…erano
sentimenti che per lui non esistevano finché non incontrò lei.
“Non supplichi per la tua vita?” fu ciò che le chiese
“Non ho nulla da supplicare. Il tempo datomi l’ho speso e
sono felice di potermene andare. È stata una vita serena la mia e sono solo
felice di poter raggiungere i miei cari”
Quella fu l’unica vita che il dio faticò davvero molto a
prendere.
Da allora smise di bussare alle porte dei mortali,
prendendoli direttamente dal piano divino e fregandosene di dar loro
l’avvertimento che di solito dava. Chi l’avrebbe mai pensato che il giorno in
cui avrebbe trovato di nuovo l’anima della bambina, l’avrebbe trovata in una
fredda cella e sulla via della ghigliottina. Quando capì ciò che era
successo…beh era il dio della morte…non ci mise che un secondo a distruggere
l’intera casa reale e a scatenare parecchie morti.
Quando gli dei responsabili della condanna della ragazza
vennero trascinati a spiegare la situazione era ancora più furioso, quasi fino
al punto di uccidere anche il cerchio divino. Raggiunse personalmente il patto
con il dio di un altro mondo e la spedì per un paio di decenni lì. Nel mentre
decise di fare un bel reset del mondo in cui vivevano. Il tempo di quel mondo
durava pochissimo rispetto al tempo del loro mondo. I decenni che l’anima spese
lì furono pochi secondi per il mondo da cui veniva e quando riaprì gli occhi
come Léonie, in realtà non era che passata un’ora dall’ultima volta in cui li
aveva chiusi.
Lasciò agli dei la libertà di fare come volevano ma tenne
ora gli occhi aperti su cosa succedeva alla ragazza, giusto per evitare che gli
idioti facessero di nuovo gli idioti.
La sua pazienza non era eccelsa e quando iniziò a notare che
gli dei erano troppo intimi con la sua protetta decise di iniziare a
intervenire. Non voleva essere però pesante, non voleva che lei si spaventasse
via ma…non fu così.
Vederla lì in quel momento confermò lui che lei non aveva
per nulla intenzione di andarsene dalla sua esistenza.
-Il dio della morte veglierà su di te- disse freddo come
sempre ma per lei vi era calore in quella voce
-Consegnerò al dio ogni anima che lui vorrà –rispose Léonie
con un sorriso rasserenato.
Andava bene così per lei, essere uno strumento del dio dei
morti era qualcosa che voleva e questo l’aveva resa la sua prediletta.
****
Quella notte come sempre piccole mani la iniziarono a sfiorare.
A differenza di ciò che molte statue rappresentavano gli dei non erano
esattamente “umani” come aspetto. Erano creaturine di circa sessanta centimetri
di altezza, nere come la pece, con artigli al posto di mani, piccole code,
orecchie da animale, denti aguzzi e occhi rossi. Erano considerabili piccoli
demoni a dirla tutta, gli umani erano al corrente della cosa ma tutti fingevano
di non sapere e vedere. La differenza tra una creaturina e l’altra era
semplicemente il marchio che avevano sulla propria schiena. Per il resto…chi
poteva dire se uno fosse donna o uomo?
Quando il dio della medicina allungò la zampa per sfiorarle
il petto una mano scheletrica lo afferrò sul posto. Un corpo scheletrico, occhi
vuoti se non per due fiamme celesti, un mantello nero che copriva tutto e un
teschio come testa…il dio dei morti non era nemmeno umano. Era uno scheletro
dal colore scuro, aveva fiamme celesti che cambiavano colore in base all’umore
e portava con sé il freddo della morte.
-Che pensi di fare?
-S…sire…stiamo solo…migliorando i nostri marchi –disse il
dio della medicina immediatamente terrorizzato. A creare un nuovo dio ci voleva
poco dopotutto.
Il dio mosse la mano e una piccola luce uscì dagli dei per
entrare nella ragazza- avete fatto…andatevene
-Ma sire…
Lui li guardò male e le fiamme iniziarono a scurirsi in un rosso
sangue. Gli dei sparirono in fretta. Il dio sfiorò con un dito scheletrico il
marchio sul petto della ragazza e lo spostò sulla schiena, facendo lo stesso
con quello del dio della spada e fondendo i marchi per crearne uno singolo,
quello per tutti gli dei.
-Sempre lo stesso- mormorò Léonie accoccolandosi a lui
Il teschio non rispose per molto tempo ma la strinse. Il freddo
che Léonie provava non sembrava infastidirla. Quel freddo abbraccio era ciò che
le aveva dato speranza tutti quei giorni di prigionia e quelle notti fredde-
sei troppo piccola per subire quel tipo di molestia…vedrò di ricordar loro che
non sei una donnaccia…
Léonie sorrise serena- rimarrai con me?
-La morte non può sparire da nessuna vita- disse lui- e poi…non
posso permettere che altri ti facciano soffrire…
Léonie si tranquillizzò ancora di più, dormendo serenamente
per la prima notte in parecchio tempo. Dopotutto, quale miglior abbraccio che
quello dell’eterno riposo per dormire serena?
Lo scheletro non si mosse da lei per il resto della notte,
era eterno e privo di riposo, non poteva dormire o chiudere occhio, passò la
notte a vegliare su di lei. Come in passato…ma stavolta non erano in una fredda
cella di prigione e lei non era stata condannata per nulla.
Creare problemi era qualcosa che il dio era abile a fare e perché
allora non farlo con chi aveva fatto soffrire la prima e unica umana che lui
aveva preso sotto di sé?
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