Capitolo 2: If you want him
Una cella imbottita, controllo attivo ventiquattro ore su
ventiquattro e continue visite psichiatriche erano ciò che Jason aveva ottenuto
dopo aver sterminato la sua famiglia.
Non aveva mai negato una singola delle accuse ma quando gli
chiedevano se avrebbe mai ucciso Eliza aveva sempre perso le staffe dicendo che
non avrebbe mai fatto male alla sua Liz.
Secondo le visite dello psicologo, Jason non era un pericolo
per Liz di per sé ma le sue azioni potevano aver traumatizzato la bambina. A
sorpresa quando lui parlò con la bambina la prima cosa che lei volle sapere era
se poteva comunicare in qualche modo con il fratello maggiore. Era conscia di
ciò che aveva fatto ma provava ancora affetto per il suo fratellone e voleva
poter parlare con lui. Anche se contrarie le autorità permisero ai due di
incontrarsi sotto controllo armato della polizia e uno psicologo. Jason era
stato tenuto in cella per un paio di giorni e quando vide la sua Liz sembrò
calmarsi totalmente e riprendere un carattere più “umano” e tranquillo. La cosa
fece sospettare allo psicologo che il disturbo mentale di Jason era
tranquillizzato dalla presenza della sorella minore adottiva con cui aveva
sviluppato nel corso del tempo una relazione di dipendenza. La situazione nella
sua casa non era delle più prospere a livello sentimentale e i genitori
l’avevano sempre visto in cattiva luce, portandolo a essere isolato dagli altri
membri della famiglia. Quando Liz era stata adottata Jason aveva trovato per la
prima volta qualcuno che ci tenesse a lui e che dipendeva da lui, portandolo ad
essere ossessionato da lei. Quando i genitori lo informarono che volevano
spedirlo a un campo militare perché avevano paura che fosse una cattiva
influenza su Liz, lui perse il controllo e finì con l’uccidere tutti. Nella sua
mente, se rimaneva il solo in vita nessuno l’avrebbe separato da Eliza.
Quando i due si incontrarono la bambina gli corse tra le
braccia, facendo venire un colpo a tutti quanti nella sala. Jason però non
reagì per nulla male alla cosa, chinandosi a stringerla e per la prima volta da
quando era sotto la loro cura, mostrando rimorso. Non per aver ucciso ma per
averle fatto vedere quella scena.
Dopo che la bambina aveva smesso di piangere e Jason l’aveva
calmata, i due ebbero una conversazione che sotto normali condizioni avrebbero
indotto a pensare che Jason fosse un bravo ragazzo con un grande affetto per la
sua sorellina. Parlarono di cose come se avesse vinto il concorso, se la
stavano trattando bene e cose del genere. Eliza era stata affidata ai servizi
sociali che le avevano trovato un tutore legale nell’avvocato di famiglia e
buon amico dei genitori di Jason. Quando Jason sentì la cosa sembrò
tranquillizzarsi sul fatto che la sua Liz non era finita in mano a qualche
psicopatico omicida e magari anche maniaco. Che detto da lui era
davvero…ironico.
I due avevano un totale di due ore concesse per vedersi e le
sfruttarono al massimo. Jason spiegò con estrema calma e logica che non sarebbe
uscito dal carcere per un bel po’ di tempo e che non si sarebbero potuti
vedere. Quando Liz gli chiese perché lui le disse che ciò che aveva commesso
era un orribile crimine e che i criminali andavano puniti. Per tutta la durata
del tempo non lasciò che Liz sfuggisse dalle sue braccia, arrivando a sedersi
con lei in braccio sulla sedia del tavolo degli incontri pur di non lasciarla
andare. Quando Liz gli disse che gli avrebbe scritto ogni giorno lui sembrò
quasi pentirsi di aver perso la possibilità di avere più contatto che semplici
lettere con lei.
Su perizia psichiatrica, il tribunale acconsentì alla
comunicazione via lettera di Jason e Eliza, impedendo visite ma lasciando che i
contenuti delle lettere rimanessero privati tra i due. La cosa mostrò
miglioramenti nella psiche di Jason che cercò di curarsi il prima possibile per
poter vedere Liz il prima possibile. Il tribunale riceveva rapporti mensili
sulla condizione del killer e il 90% delle conversazioni conteneva solamente
cose riguardanti “Liz”.
Il tribunale lo lasciò in prigione per un totale di dieci
anni, finché non divenne possibile per lui uscire prima, con appoggio di un
famigliare, portando una cavigliera e facendo un rapporto settimanale
all’agente messo per tenerlo “innocuo”.
Eliza Daphne Rose BlackSoul nel mentre aveva seguito le orme
paterne e divenne un medico di obitorio che lavorava a stretto contatto con
polizia e aiutava nei casi di serial killer, diventando una figura molto
positiva che aiutava nelle comunità locali, donava alla carità e aveva parecchi
soldi a suo nome tra eredità dei BlackSoul e il lavoro che faceva.
Il tribunale la contattò per informarla della possibilità di
far uscire Jason prima, come unica superstite poteva rifiutarsi e nessuno
l’avrebbe contradetta. L’unico motivo per cui non era in un programma di
protezione testimoni fu perché lei si rifiutò di essere messa in quel
programma. A sorpresa chiese subito il giorno e l’orario in cui poteva
recuperare Jason e portarlo a casa. Accettando immediatamente la diminuzione
della propria libertà per garantirla a Jason.
Quella risposta stupì Jason quando un agente gli disse che
era davvero finito con una santa come sorella per essere stato perdonato per
tutto il proprio passato.
-Elizabeth, ti prenderai un paio i giorni?
-Si, devo sistemare casa per Jason
-Sicura prenderlo sia una buona idea?
-Beh…è famiglia, non posso abbandonarlo
-Troppo buona
Lei sorrise calma giocando con il bisturi che aveva in mano-
forse…ma non credo di esserlo…
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